Buona Fine e Buon Principo
Oggi ho voglia di postare il racconto con cui non ho vinto CoopForWord 2003…
…credo che il blog potrebbe anche essere una buona occasione per rimettere un po’ mano ai miei scritti del passato: visto che da quacosa bisogna pure iniziare …tanto vale farlo da un testo a cui mi sento molto legato!
BUONA FINE E BUON PRINCIPIO…
Un altro anno, un altro show da cominciare senza troppe sbavature.
Sono le 13:42 (o così almeno dice il display del mio cellulare) del primo giorno dell’anno 2003.
“E tu chi cazzo sei?” Il primo pensiero dell’anno.
Il gomitolo di carne alla mia sinistra sta lentamente riprendendo i sensi. Si volta verso di me, mi guarda con gli occhi a mezz’asta, sbadiglia e si lascia ricadere nel vortice di lenzuoli-cuscini-coperte che ha fatto da scena allo spettacolo notturno.
Improvvisamente un flash: “Giorgia”, mi dissi.
Me l’ero trovata di fianco due giorni fa, e si era presentata come una vecchia compagna di Liceo, di cui non ricordo quasi nulla.
“Cosa fai a Capodanno?”, mi aveva chiesto, avvicinandosi con fare timido al mio tavolino.
L’avevo guardata, sollevando appena lo sguardo dalle volute colorate della tazzina da caffè.
Non mi piace essere disturbato mentre bevo il caffè; neppure da una bella ragazza.
“Sai …ieri Gigi se ne è andato…”
Avevamo parlato un po’: avevamo ricordato i bei vecchi tempi …così lei diceva, ma io non ricordavo assolutamente nulla di bello in quegli anni odiosi e stantii. Dopo un po’ mi aveva parlato della sua vita dopo il Liceo: impiegata nell’Ufficio Relazioni col Pubblico di un Comune dei paraggi, sessualmente frustrata da un impiegato di vent’anni più vecchio di lei, aveva spesso cercato di rivolgermi la parola, senza mai sentirsi considerata.
E’ probabile. Non esco molto, e fuori di casa ho qualche considerazione di non più di altre tre persone.
Tutt’intorno alla tazza correva un fregio precolombiano, a colori vivissimi: merito di una mostra a Palazzo Grassi sui Maja di qualche anno fa.
Mi aveva chiesto di me: cosa facevo sempre solo al banco del bar, perché non parlavo mai con nessuno di quello che mi piace (perché avrei poi dovuto parlarne al bar, questo solo lei lo sapeva), con chi vivevo, ecc.
“…non è un gran modo per conquistare la tua simpatia, vero?” Sollevai gli occhi dalla tazza per la seconda volta da quando mi era venuta vicino.
“Coca-rum?” chiesi.
Mi aspettavo una reazione del tipo “Sei pazzo? Alle 9:00 del mattino?”.
Invece disse soltanto: “Perché no?”
Finalmente sapevo cosa fare a Capodanno.
Aveva superato la prima prova. Presi i due bicchieri, che nel frattempo il previdente Luca aveva preparato senza che io chiedessi nulla, e ce ne andammo nella saletta del retro. Ci sedemmo al tavolino e cominciammo a parlare della sera del giorno seguente.
Era priva di idee clamorose, ma dalla sua parte aveva un innato senso di repulsione per le feste in grande stile, tipo pub, discoteca o robe simili.
“Al-lo-ra?”, mi chiese dopo un po’, accorgendosi che la mia mente aveva già cominciato a vagare.
Mi piaceva. Aveva pronunciato quelle tre sillabe in modo perentorio, reclamando il suo diritto ad essere ascoltata; senza protagonismo, ma con convinzione.
“C’è un rifugio a pochi chilometri dalla cima del Corno alle Scale. Lo prenoto da un paio di anni. Il primo anno sono andato a festeggiare io solo. L’anno scorso sono venuti con me due amici d’infanzia. Vuoi venire tu, quest’anno?”
“Sì.” Un altro punto a suo favore.
Così eravamo partiti, nel primo pomeriggio del 31 dicembre 2002.
Senza abiti da milioni. Senza tavoli prenotati nei locali più “in” d’Italia.
Solo jeans, maglione di lana e uno zaino con il cambio di lenzuoli e la cena. Quasi fossimo due scout un po’ sui generis.
Mi aveva dato una mano a mettere in ordine e a fare fuoco. Fuori nevicava e la legna era umida: non fu un’impresa da poco.
Risotto ai funghi, carne ai ferri, vino rosso …tutto perfetto.
Avevamo parlato e bevuto, molto. Ora ero io a guidare le danze, ora lei mi strappava lo scettro, ma sempre con un certo stile.
Non avevamo fretta di correre a letto, ma ad un certo punto una folata spalancò la finestra che avevo lasciato accostata per consentire il ricambio. Mi ero alzato per andarla a chiudere e le ero crollato addosso, non troppo elegantemente in verità, trascinandola a terra. Anche lei non era in perfette condizioni e restammo qualche minuto avvinghiati a terra, immobili, nell’attesa che il più sobrio desse inizio al processo di liberazione. Poi, visto che non accadeva niente, all’unisono, avevamo deciso che era venuto il momento di fare l’amore.
Tra le fiamme del camino e lo spiffero gelido della finestra aperta ci eravamo rotolati sul pavimento finché non ci eravamo sentiti sazi, alternando la pelle d’oca al sudore più violento.
Quando il freddo aveva cominciato a farsi insopportabile, mi ero alzato, avevo chiuso la finestra e preso la bottiglia di Berlucchi dal tavolo.
“E’ ora del brindisi.” avevo detto togliendo la gabbia di metallo.
“Perché? Che ore sono?” mi aveva chiesto lei riassettandosi alla meglio.
“E che cazzo ne so?”
Le avevo dato una mano a rialzarsi, confidando più nell’abitudine alla posizione eretta che nel precario equilibrio del momento.
La cosa più faticosa era stata salire le scale, per raggiungere la freddissima stanza da letto.
Avevo stappato la bottiglia quando eravamo già avvolti nelle coperte.
L’eruzione scaturita dalla bottiglia aveva scatenato nuovi giochi e nuovi desideri, e da allora non ricordavo più nulla.
13:45. Buona media: dopo neanche tre minuti, eccomi di nuovo al timone della mia vita.
Sul comodino di fianco a me c’è un bicchiere da whisky pieno di una sostanza scura. Porto il bicchiere alle labbra e assaggio …Jameson e Cola, e alla temperatura ideale, nonostante la Coca sia un po’ svanita.
Tutto d’un fiato. Il primo shot del 2003.
Mi guardo attorno.
La stanza è perfettamente illuminata dalla luce solare che entra di riverbero dalla fine
E’ freddo, e ad ogni respiro fumante mi sembra di essere una sorta di drago, ma il mio torso che esce nudo dalle coperte non risente dell’aria gelida. Prodigi dell’alcool.
Fuori ha smesso di nevicare.
Giorgia è perfettamente immobile, al mio fianco. Non sembra essersi accorta del mio risveglio. Seguendo il profilo della sua schiena, scopro lentamente il suo corpo nudo, fino al ginocchio.
“Ho freddo, cazzo!” Si alza di scatto, mi strappa le coperte di mano e si ricopre, riaccucciandosi placidamente.
Un gran bell’inizio d’anno.
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