Mi piacerebbe anche recuperare un po’ degli scritti che avevo pubblicato sul mio vecchio Blog su Tiscali (nel 2003, più o meno).

Vai col Primo!

Memoria.

Lontano il rumore delle acque del rivo, che si mescola al ritmico ciclo della pompa per le acque d’irrigazione. Gli orti.

Una zona magica. Quasi mistica.

Passeggiarci di giorno, come ora, non le rende giustizia. Abbaiare dei cani. Odori di varie putrefazioni pompate dal sole di un pomeriggio afoso e appiccicoso. Vecchie macchine che passano, cariche di sacchi e di cartoni, sferragliando e tossendo.

Ma la sera…

La luce lunare che si affaccia dal fianco della montagna, si specchia sulle lucide foglie dei tigli e dell’edera, e cerca di farsi strada tra i pergolati carichi di fiori. Qualche raggio riesce a giungere fino al ciottolato, disegnando piccoli squarci di luce in una penombra densa. Gli altri si infrangono, con dolcezza, sulle foglie aperte per godersi la frescura della notte.

L’odore del verde e dell’acqua torna ad avere il sopravvento sugli odori delle alghe e delle foglie in putrefazione. Anche il giocoso scorrere del ruscello fa udire la sua voce, ora che le macchine hanno cessato il loro passaggio.

I cani, lontani dallo sguardo inquisitore dei loro padroni, che amano pensarli come arcigni guardiani del loro rifugio, giacciono a terra sonnecchianti, o scrutano con aria curiosa, quasi infantile, il nostro passaggio silenzioso ed ordinato.

Fra qualche passaggio sarà necessario accendere le torce: la luna non potrà più aiutarci quando avremo completato il giro sul lato di montagna da lei illuminato.

Pochi minuti di cammino e la tenebra si fa sempre più avvolgente. Prima con dolcezza, quasi per ricordarci le nostre origini (una scintilla nel buio), poi in modo sempre più soffocante.

La retina cerca di abituarsi all’oscurità, ma presto la quasi totale assenza di luce ha la meglio sui nostri sensi vacillanti. Cresce il timore, l’equilibrio sui sassi arrotondati si fa precario, si comincia a temere quell’oscurità che poco prima ci era stata amica.

L’inquietudine è quasi piacevole, all’inizio del suo manifestarsi. L’adrenalina che comincia a moltiplicare il battito cardiaco ci lascia soddisfatti del nostro coraggio. Ma poi, con la banalità di chi coglie un suono affatto misterioso come pretesto per fuggire dalle proprie paure, il dito corre deciso all’interruttore.

Clik.

Luce. Ma non quella materna e rassicurante della luna, che illuminava prima i nostri passi. Una luce tutta umana, limitata ed imperfetta. Tranquillizza, ma solo per quanto riguarda il limitato cono di luce e quanto esso riesce ad illuminare. E’ governabile, ma presenta tutti i limiti della decisionalità umana, incapace di afferrare tutti gli elementi al contempo. Limitata e selettiva. Fastidiosa, a volte.

Ma necessaria, senza dubbio.

Nel frattempo la zona degli orti, con le sue recinzioni in rete e i suoi improbabili cancelletti, fatti di porzioni di porte, cofani di macchine, reti da letti e fili spinati, ha lasciato il posto alla boscaglia. La vegetazione è più ricca, e i ciottoli del sentiero cominciano a coprirsi via via di terra e di foglie.

Anche gli alberi, che avevano accompagnato in modo discreto il nostro viaggio, seguendoci da lontano, ora cominciano a pressarci sui lati e ad abbassare le chiome al nostro passaggio. Quello che era un viale sta diventando quasi un tunnel…

Ma la meta è ben oltre il tunnel.

I passi procedono, riprendendo sicurezza.                       1