“Perché dovremmo fare qualcosa per le generazioni future
quando loro non hanno fatto nulla per noi?”
(Woody Allen)

Una battuta fulminante per inquadrare un problema che non è solo, come qualcuno cerca di farci credere, un problema previdenziale. La modifica della previdenza che porterà i giovani di oggi a percepire una pensione pubblica estremamente più sottile che non in passato, è solo uno degli aspetti della fragilità del mondo in cui si muovono oggi i più giovani.

“(…) che cioè le future generazioni non avrebbero più potuto contare su un tenore di vita sempre migliore rispetto ai padri e ai nonni.
Era la rottura di un sogno che ormai, nel primo mondo, sembrava realtà, il progresso infinito in cui i giovani del Baby Boom, nati tra il 1946 e il 1964, avrebbero dato vita a crescita e prosperità infinite, ogni anno più ricchi e benestanti, e sempre meglio assistiti dal mercato, da un welfare munifico e dalla tecnologia, felici e narcisi.”
(Gianni Riotta, riassumendo le tesi di Krugman
in The age of diminished expectations)

Tutti pongono i giovani al centro delle proprie politiche. Tutti fanno a gara per avere giovani in lista e giovani tra le proprie file militanti.

Certo, molto diverso è accettare di avere giovani all’interno dei gruppi dirigenti. Fare i conti con logiche diverse da quelle al potere per decenni.

E sono convinto che non sia solo perché i giovani sono inesperti: date le enormi cazzate architettate da politici e manager di comprovata esperienza, non sarebbe poi forse drammatico far fronte a qualche ingenuo errore dettato da mera inesperienza!

Credo sia perché, a parte i luoghi comuni, viviamo in un mondo profondamente “conservativo”, e questa cosa è trasversale ai partiti politici, alle posizioni economiche. Anzi, se mi si consente una nota polemica, almeno dalle nostre parti, è proprio la sinistra il partito in assoluto più conservatore!

Chi è in una certa posizione non vuole abbandonarla neppure quando le condizioni al contorno la rendono superflua (o almeno imporrebbero variazioni). Chi ha certi privilegi non vuole accettare di dividerli con nessuno.

In questo contesto i giovani sono quelli che devono portare pazienza, così come devono portare pazienza i clienti (troppo spesso spremuti, con dubbia correttezza), come pure i soggetti che si mettono in gioco come futuri imprenditori e futura classe dirigente (non solo giovanissimi, ma anche adulti rimasti senza lavoro con una gran voglia di ripartire o persone distanti dalla politica fino a ieri che hanno deciso di scendere in capo…).

Chi è al comando oggi cerca di garantirsi di essere al comando anche domani. I soldi si prestano solo a chi ne ha già. Le valutazioni economiche e finanziarie vengono fatte da programmi a casellari rigidi su cui nessuno ha più nessuna responsabilità, come se fossero al di sopra del bene e del male.

“Le banche non sono fatte per pagare stipendi ai loro impiegati
o per chiudere il loro bilancio con un saldo utile;
ma devono raggiungere questi giusti fini
soltanto con il servire meglio il pubblico.”
Luigi Einaudi – Relazione del Governatore della Banca d’Italia per l’Esercizio 1943

E la responsabilità rimane uno dei problemi fondamentali della nostra società.

Non c’è certezza della pena (anzi, c’è troppo spesso la certezza dell’impunità), e neanche la certezza della premiazione per l’impegno.

Il concetto di programmazione a medio-lungo termine e la capacità della classe dirigente di guardare avanti e di compiere le sue scelte sulla base di un preciso progetto di sviluppo, sembra infrangersi di fronte ai successi temporanei dell’improvvisazione.

E questo procura condizionamenti nel lavoro dei manager, che preferiscono orientare i risultati del loro lavoro al breve periodo: agli investimenti in prospettiva preferiscono gli investimenti che portino frutto subito (per loro stessa vocazione più pericolosi), e così pure viene trascurata l’innovazione, come pure la qualificazione e la gratificazione dei lavoratori.

Così abbiamo, ad esempio, manager di altissimo livello che vanno fieri di presentare coloratissime slides in power point con critto osservazioni geniali come “dobbiamo alzare i costi del prodotto del 20%” o “dobbiamo ridurre i costi interni del 20%” e poi, quando vengono chieste loro le soluzioni concrete per attuare questi obiettivi (senza perdere clienti, senza affogare nella merda), li sentiamo dire che le soluzioni attuative spettano ai loro sottoposti…

Oppure ci sono altri manager, quelli delle multi-utility cittadine o regionali, ad esempio, che girano spesso in regime di monopolio, di legge o di fatto, e che prendono stipendi più alti di quelli dei manager privati che operano in regime di concorrenza …non sono forse più contentini dati a politici “promossi” o “scaduti” piuttosto che occasioni per premiare il merito?

E la qualità della classe dirigente resta fonte di dubbio.

Come fare ad allargare un po’ gli orizzonti?

Siamo di fronte a situazioni analoghe, seppure in altri ambiti, al “contrarsi dell’orizzonte politico dei paesi del Primo Mondo” di cui parla Lorenzo Ornaghi nella sua scheda in calce a Quadrare il cerchio di Dahrendorf.

Fiducia e speranza, elementi fondamentali perché possa esistere il concetto stesso di investimento (e che sono alla base di qualunque momento di espansione economica e demografica), vengono in questo momento segregati ad ambiti morali o religiosi, come se non avessero niente a che vedere con la vita reale.

Le idee e i valori sono stati lasciate alle dispute filosofiche e alle omelie dei parroci, e la cosa non ha comportato grandi miglioramenti per la libertà degli uomini…

E quando il Papa o un ministro del welfare a caso cerca di ricollocare al loro posto il tema dei valori o quello della moralità dell’agire, la cosa viene stigmatizzata come superata! Come una deviazione dal cuore del problema!

“La vita è facile o difficile a seconda dell’abilità
o dell’incapacità nel produrre e far circolare le ricchezze.
Si è creduto per lungo tempo che l’industria
non abbia altro scopo che il profitto.
E’ un errore. L’industria ha per scopo l’utilità generale.”
(Henry Ford)

I temi sono tanti, e forse sarebbe necessario riprenderli uno alla volta. Per spostare il dibattito su questioni decisive non solo oggi, ma anche e soprattutto per il futuro.
I segnali dati ai partiti dalle loro basi non sono stati sufficientemente colti. L’antipolitica si è lasciata etichettare come boutade massmediatica di comici in declino e giornalisti mai emersi (criticare sempre, comunque e tutto non aiuta a mettersi nell’ottica di lavorare seriamente sulla soluzione dei problemi: se tutto è marcio e tutto è sbagliato, forse la soluzione migliore è disinteressarsi).

L’affluenza al voto, segno distintivo di una democrazia matura, si abbassa denunciando i sintomi di una democrazia stanca.

L’assottigliarsi della torta scatena meccanismi protezionistici fini a se stessi destinati ad abbassare il livello del confronto.

Davanti ad un’inclusione problematica (delle giovani generazioni, degli elettori scontenti, degli extra-comunitari, dei lavoratori rimasti senza lavoro) preferiamo una semplice e lineare esclusione, come se questa scelta (magari attenuata da qualche elargizione benefica, almeno per quanto riguarda le ultime due categorie citate) non avesse conseguenze.

“L’esclusione è ECONOMICAMENTE dannosa,
ma innanzitutto SOCIALMENTE corrosiva e infine POLITICAMENTE esplosiva.”
(Ralf Dahrendorf – Quadrare il cerchio – Ieri e Oggi – Laterza)

Quadrare il cerchio tra successo economico, solidarietà sociale e libertà politica non è un obiettivo facile. C’è chi sostiene che sia un obiettivo irrealizzabile. Ma cercare di ricostruire il senso di comunità partendo dalle sue risorse interne e dalla parte buona delle sue tradizioni profondamente radicate è forse una strada possibile.

Vediamo di lavorarci un po’ sopra.

andrea.prof

[E’ un periodo di letture molto interessanti: a parte rileggere il sempre gradevolissimo L’economia spiegata a un figlio di Fabrizio Galimberti, per preparare un incontro che mi hanno commissionato, mi sono anche dedicato con interesse all’approccio liberal di Dahrendorf (Quadrare il cerchio Ieri e oggi e Per un nuovo liberalismo), alla lettura della crisi fornita da Krugman (La coscienza di un liberal), al mondo liquido di Bauman (Voglia di comunità), alle Possibilità economiche per un figlio? di Guido Rossi, a La paura e la speranza di Tremonti, e al libretto pubblicato da Il Sole 24 Ore dal titolo Lezioni per il futuro. Questo intervento, come quello che lo precedeva e, immagino, tanti che lo seguiranno, non possono prescindere da questa confessione…]

nota: L’immagine all’inizio è tratta dal sito internet della pubblicazione statunitense The Economist, a commento dell’articolo The biggest bill in history (dell’11 giugno 2009). La citazione di Woody Allen l’ho aggiunta io.