“una cosa tale che
chiunque udirà
ne avrà storditi gli orecchi”

Dopo il “sì” di Maria, questa volta ci occupiamo di un’altra risposta, quella del giovane Samuele, che avrà un ruolo fondamentale nella storia di Israele. Stasera partiamo dal rapporto tra Samuele e il suo maestro Eli (e la voce di Davide ci accompagna nella lettura integrale del testo, di cui segue un piccolo estratto):

Il Signore tornò a chiamare: “Samuele!” per la terza volta; questi si alzò ancora e corse da Eli dicendo: “Mi hai chiamato, eccomi!”. Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovinetto. Eli disse a Samuele: “Vattene a dormire e, se ti si chiamerà ancora, dirai: Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”. Samuele andò a coricarsi al suo posto. Venne il Signore, stette di nuovo accanto a lui e lo chiamò ancora come le altre volte: “Samuele, Samuele!”. Samuele rispose subito: “Parla, perché il tuo servo ti ascolta”. Allora il Signore disse a Samuele: “Ecco io sto per fare in Israele una cosa tale che chiunque udirà ne avrà storditi gli orecchi.”

Una differenza tra Maria e Samuele, che è balzata subito agli occhi a tutti, è data dal fatto che mentre Maria, seppure inquietata dalla manifestazione, sembra subito consapevole di essere stata scelta come strumento dal suo Signore, Samuele non capisce cosa gli stia effettivamente accadendo fino a quando Eli non gli imbocca la “risposta giusta”. Per un uomo in formazione (e la formazione non finisce forse mai), la scelta dei modelli e dei maestri è sicuramente una scelta fondamentale.

Ogni tanto la cosa avviene con la massima naturalezza (i genitori ci offrono un primo modello), ogni tanto sceglie qualcun altro per conto nostro (il Ministero sceglie i nostri Professori, l’assemblea elettorale sceglie il nostro Sindaco o il nostro Presidente del Consiglio), ogni tanto abbiamo la fortuna di scegliere in prima persona qualcuno con cui confrontarci per crescere.

Una delle immagini più efficaci di “maestro” che il cinema ci abbia mai proposto è, a mio parere, il professor Keating de L’Attimo Fuggente, di cui guardiamo le scene della prima lezione.

Ma se ascoltate con attenzione, li sentirete sussurrare il loro monito. Avanti, avvicinatevi. Ascoltate, lo sentite? – Carpe – lo sentite? – Carpe, carpe diem, cogliete l’attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita.
(Professor Keating ne L’Attimo Fuggente)

Un professore che i ragazzi non scelgono come tale, ma che qualcuno di loro sceglierà come maestro di vita. Capace di sconvolgere la vita dei suo studenti …in alcuni casi anche troppo in profondità.

Ci sono maestri che dicono esattamente cosa fare, e maestri che cercano di indicare una strada, un metodo di ricerca. Maestri che si sentono traditi se i discepoli scelgono strade diverse e maestri che si sentono onorati se i discepoli trovano strade nuove. Difficilmente possiamo considerare un Maestro, però, qualcuno che non ci chiede nulla e che ci lascia devastare nell’ozio o che ci da come unica strada la totale passività di fronte alla vita e alle cose che accadono.

La FrancyGas (in serata veramente attiva) propone a questo proposito un grande tema. Quello della scelta degli idoli come alternativa ai maestri. Gli idoli del cinema e della musica, gli idoli della rete… Spesso ci danno risposte geniali, che sembrano scritte esattamente per i nostri momenti di euforia o di tristezza, per i nostri amori e le nostre guerre. Ma non dobbiamo dimenticare che, per quanto grandi siano, anche quando sembra che parlino di noi, a volte anche che parlino con noi, quasi mai riescono a rispondere esattamente alle nostre domande …perché per la maggior parte dei casi la comunicazione si svolge in una sola direzione. Da un maestro non è così sbagliato pretendere presenza ed interazione…

Il buon Benassi, nella calma della notte del suo studio radiofonico, sembra voler essere modello, ma anche alla costante ricerca di maestri, e ci racconta:

Buonanotte… qui è Radio Raptus… e io sono Benassi… Ivan. Forse lì c’è qualcuno che non dorme, be’ comunque che ci siate oppure no, io c’ho una cosa da dire. Oggi ho avuto una discussione con un mio amico; lui… lui è uno di quelli bravi, bravi a credere in quello in cui gli dicono di credere. Lui dice che se uno non crede in certe cose non crede in niente. Be’ non è vero… anch’io credo…Credo nelle rovesciate di Bonimba, e nei riff di Keith Richards. Credo al doppio suono di campanello del padrone di casa che vuole l’affitto ogni primo del mese. Credo che ognuno di noi si meriterebbe di avere una madre e un padre che siano decenti con lui almeno finché non si sta in piedi. (..) Credo che non sia tutto qua, però prima di credere in qualcos’altro bisogna fare i conti con quello che c’è qua, e allora mi sa che crederò prima o poi in qualche Dio.(…) Credo che ci ho un buco grosso dentro, ma anche che il rock n’ roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici ogni tanto questo buco me lo riempiono. Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx. Credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri. Credo che per credere, certi momenti ti serve molta energia. Ecco, allora vedete un po’ di ricaricare le vostre scorte con questo…
(monologo radiofonico di Freccia, in Radiofreccia)

Ligabue sembra tirare fuori la sua bellissima Almeno credo proprio da questo monologo. Parlavamo di maestri …beh, le canzoni di Ligabue credo che mi siano venute in aiuto in diversi momenti della mia vita …non credo sia un mio maestro, anche se certamente è un po’ tra i miei idoli (ma col passare del tempo anche il giudizio riguardante i nostri idoli diventa sempre più severo…).

L’innata esigenza di credere in qualcosa, in qualcuno (senza però piegarci a credere in Dio perché troppo fuori moda, troppo lontano, troppo grande per essere capito, troppo difficile) finisce talvolta per non darci grandi soddisfazioni e per lasciarci con un po’ di “amaro in bocca”, come capita qui:

“Quel giorno, non so proprio perché decisi di andare a correre un po’, perciò corsi fino alla fine della strada, e una volta lì pensai di correre fino la fine della città, e una volta lì pensai di correre attraverso la contea di Greenbow. Poi mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale correre attraverso il bellissimo stato dell’ Alabama, e cosi feci. Corsi attraverso tutta l’Alabama, e non so perché continuai ad andare. Corsi fino all’oceano e, una volta lì mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui tanto vale girarmi e continuare a correre. Quando arrivai a un altro oceano, mi dissi, visto che sono arrivato fino a qui, tanto vale girarmi di nuovo e continuare a correre; quando ero stanco dormivo, quando avevo fame mangiavo, quando dovevo fare… insomma, la facevo!”
“Sono un po’ stanchino. Credo che tornerò a casa ora.”
(Forrest Gump)

Geniale! Guardate bene che non voglio dire che la corsa non sia utile a Forrest… e neppure che l’attraversamento degli Stati Uniti di coloro che lo seguono non abbia per loro conseguenze positive. A Forrest serve a prepararsi al grande epilogo. Agli altri serve sicuramente per impegnarsi e per pensare (magari anche rassodando i glutei!). Ma la cosa non ha poi tutto quel significato universale che le vorrebbero attribuire… Ed è difficile non restarci male quando scopriamo di aver eletto a nostro maestro il primo svitato (per quanto fenomenale) che abbia deciso di mettersi a correre.

Noi uomini siamo veramente stranissimi. Abbiamo qualcosa dentro di noi che ci spinge costantemente alla ricerca della Verità (che qualcuno di voi potrebbe rifiutarsi di chiamare “Dio”, ma che comunque mi sembra difficile pensare che non ci sia), al miglioramento di noi stessi e del mondo che ci circonda, e passiamo una buona parte della nostra esistenza a cercare di anestetizzare questa esigenza, a cercare miti piccoli che possiamo comodamente gestire, a stordirci per non pensare.

Prima di chiudere mi piacerebbe guardare insieme un film che parla di un giovane ragazzo neodiplomato che sceglie per sé un maestro severo e che non da nessun appello: la Natura in persona. Quella natura che l’elettricità, il cemento e le comodità a cui siamo abituati ci hanno completamente fatto dimenticare. Parlo ovviamente di Into the Wild. E della scena in cui (colgo il suggerimento della Marty) il futuro Alexander Supertramp decide di rinunciare all’auto nuova, alle carte di credito, alla sua identità, per tornare alle origini. Una scela coraggiosa, degna di tanto rispetto, ma che produrrà conseguenze assolutamente tragiche.

“Non mi servono i soldi, rendono le persone prudenti. Parafrasando quello che dice Thoreau: non l’amore, non i soldi, non la fede, non la fama, non la giustizia, datemi la verità!”
(C. J. McCandless/Alexander Supertramp in Into the Wild)

…il tempo è tiranno …Chocolat lo terremo per la prossima volta.

Prima di partire per Dublino (un brindisi sarà sicuramente per voi…), vi lascio con un frammento di un’interessante omelia del nostro Santo Padre.

Ma ci sono modi molto diversi di attendere. Se il tempo non è riempito da un presente dotato di senso, l’attesa rischia di diventare insopportabile; se si aspetta qualcosa, ma in questo momento non c’è nulla, se il presente cioè rimane vuoto, ogni attimo che passa appare esageratamente lungo, e l’attesa si trasforma in un peso troppo grave, perché il futuro rimane del tutto incerto. Quando invece il tempo è dotato di senso, e in ogni istante percepiamo qualcosa di specifico e di valido, allora la gioia dell’attesa rende il presente più prezioso.
(omelia del Santo Padre Benedetto XVI per i Vespri di inizio Avvento, 28 novembre 2009)

Buona vita a tutti…

andrea.prof