Siamo ancora fermi alla battaglia di Qadesh?
Come tutti gli anni, soprattutto quando si avvicina il 25 aprile.
A Qadesh, nel 1284 a.C. si combattè una battaglia epica, tra le 2 superpotenze di quel momento: Egizi contro Ittiti. E come andò a finire? Boh. Gli Ittiti scrissero che avevano vinto loro, gli Egizi che era stato l’esercito di Ramesse a trionfare. E per chi non c’era restano solo le congetture. Gli storici moderni tendono a dare ragione agli Ittiti, un po’ per dati oggettivi (pare che i territori oggetto della contesa, dopo la battaglia, siano rimasti ancora per un po’ sotto il loro dominio), sia probabilmente per un’umana simpatia nei confronti di chi è diventato meno famoso.
Della battaglia di Qadesh si sa quasi tutto: tecniche militari utilizzate, strategie belliche dei due eserciti, trattato conclusivo (forse il primo trattato internazionale della storia). Ma la questione di come andò a finire resta, in tutta la sua storica ed imbarazzante attualità.
Sono passati millenni. I documenti sulla storia contemporanea sono più generosi, a volte anche sovrabbondanti. Spesso altrettanto selezionati, se non addirittura riveduti e corretti. Sia da parte dei vincitori che da parte dei vinti.
Ma il problema resta: ci sono domande a cui non è sempre facile dare una risposta.
Oggi è la festa della Liberazione, giornata elusa e contesa, di libertà di pensiero e di arroccamento ideologico, di tutti e di pochi (eletti).
Personalmente spero che si riesca a rendere la giornata del 25 aprile una giornata per tutti gli italiani, che si riesca ad uscire dal meccanismo “esaltazione dell’epopea dei cavalieri senza macchia e senza peccato” VS “demonizzazione delle colpe di una massa di briganti”. Non credo sia quello il cuore del problema.
Le guerre tendono a tirar fuori il peggio dell’essere umano, e neppure i poemi cavallereschi riuscivano a tenere indenni gli eroi da qualche piccola o grande tristezza.
Credo che si dovrebbe ripartire da capo, lasciando alla ricerca storica quello che le è proprio (confronto dei documenti, con l’obiettivo di raggiungere una conoscenza attendibile sui fatti), cercando di fare leva su quanto è condiviso da molti, se non proprio da tutti.
Le cose da festeggiare. Tra cui: la gioia per la fine di una guerra, l’esaltazione generale della fine di un regime autoritario e dei suoi nocivi alleati, la nascita di uno stato democratico, realmente moderno (nelle virtù e nei vizi), capace di ricostruire dalle proprie macerie e con grandi sacrifici il paese in cui siamo nati e in cui viviamo.
Le cose da ricordare. Tra cui: le dure condizioni a cui furono sottoposte le popolazioni civili nel corso della guerra e delle sue logoranti fasi finali, le tante vite stroncate, di militari e di civili, di italiani e di loro alleati, di contadini e di preti, per non parlare delle cose atroci che la guerra fa vivere e fare anche quando non arriva ad ucciderti, che fortunatamente la maggior parte di noi non ha conosciuto direttamente.
Se il 25 aprile deve essere un motivo di discordia, che serve ad una parte a tener vivi i suoi miti crearne dei nuovi (in modo acritico e dogmatico, al contrario di quanto si dice in giro) e all’altra a non percepire le responsabilità della storia, allora andiamo pure avanti così.
Io non posso che augurarmi che le cose crescano in maniera differente, e auguro una buona Festa della Liberazione a tutti …e domani, carichi e pronti a mettersi al lavoro! Perché, come ai tempi dei nostri nonni, seppure per ragioni diverse, c’è tanto da fare…
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