Probabilmente qualcuno non si è accorto che siamo ad un bivio.

Ancora immersi in una inquietante palude creata da svariati decenni di questioni morali aperte e di fantasiose commistioni tra “ragion di Stato” e  voglia di profitto facile, e da qualche decennio di finanza troppo creativa per poter funzionare, dobbiamo dare un deciso colpo di reni per uscirne in tempo, per non affogare.

Un po’ di merda si può anche buttare giù (credo sia questa la fase in cui ci troviamo attualmente), ma poi bisogna iniziare a sputare …se i polmoni si riempiono di merda, si muore. Concetto banale, ma decisamente sottovalutato, di questi tempi.

Da quando l’avventura Generazione Italia è iniziata, ho avuto modo di parlare con davvero un sacco di persone, soprattutto giovani. Sia tradizionalmente “di destra”, che “di sinistra”, che disaffezionati a qualunque “menata ideologica e politica”.

E, proprio a seguito di queste chiacchierate, ho maturato l’idea che forse non sia poi così diffusa la consapevolezza del momento storico in cui stiamo vivendo.

Un segnale positivo è stato che (quasi) tutti, più o meno giovani, provano simpatia per l’impresa donchisciottesca di  Gianfranco Fini di cercare di costruire un nuovo scenario complessivo. Qualcuno, però, è tuttora convinto che si tratti di un’ennesima mossa da Prima Repubblica per conquistare il potere e ristabilire lo status quo ante Berlusconi. Io, personalmente, comincio a provare meno simpatia nei confronti dei teorici del complotto, e considero davvero Fini l’unico (insieme a Vendola, forse, anche se per dare un giudizio significativo bisognerebbe vivere in Puglia) che ha iniziato a ragionare sulla centralità dei problemi legati alle nuove generazioni e al loro disinteresse nei confronti di una politica che ha loro rubato (a tanti, almeno) la possibilità di migliorare il proprio status lavorando onestamente, la possibilità di avere una casa e di formare una famiglia, di veder riconosciuti i propri meriti all’Università, sul lavoro e in altri ambiti fondamentali del vivere civile.

Dalla “fantasia al potere” troppi si sono adagiati nel “sonno della ragione” (che, come tanti sanno, “genera mostri”).

E il sistema è pericolosamente degenerativo: imbecilli che cercano spesso persone più imbecilli di loro (e, forse non è un luogo comune, all’imbecillità non c’è fine) che garantiscano e riproducano privilegi e fingano di risolvere problemi concreti.

E non difettano solo di competenza e di morale, cosa di per sé già abbastanza grave, ma mancano anche un progetto di sviluppo complessivo ed organico …e credo sia questa la vera forza innovativa dell’idea guida sviluppata da Gianfranco Fini che sta alla base di Generazione Italia.

E quindi, fatta questa premessa, come sono andate le mie chiacchierate di fondazione?

Beh… Alcuni fortunatamente hanno aderito al progetto, con entusiasmo. Ma alcuni non hanno voluto aderire al progetto perché siamo “troppo vicini a Berlusconi”, mentre altri se ne sono chiamati fuori perché “troppo contrari” alle idee del nostro Presidente del Consiglio. Questo tra i non digiuni di politica, ovviamente. Poi ci sono quelli che per interessi corporativi, commerciali, associativi, ecc. non possono esporsi …questi sono davvero in tanti, più di quanto avrei mai creduto, e mi auguro che la loro preservata neutralità sia sempre utile non solo a loro, ma anche a rendere questo mondo migliore e meno fazioso, e che non sia solo dovuta ad un comprensibile imbarazzo nei confronti della “politica”: professionisti e commercianti che fanno con onestà il loro lavoro sono preziosissimi a tutti, così come referenti di realtà associative moralmente consapevoli del loro ruolo… Poi ci sono quelli, anche questi numerosi, che provano un senso di “schifo” nei confronti di tutto quello che è “politica” …come dar loro torto, dato il pessimo spettacolo davanti al quale ci troviamo quasi quotidianamente nel nostro paese? Mi viene in mente il grandissimo Gaber: “quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia”.

Ma come facciamo, se proprio le persone che avrebbero le capacità e la spinta per cambiare le cose preferiscono tirarsi da una parte “per non sporcarsi”?

Il tema è davvero enorme. Per ripulire le cose spesso bisogna sporcarsi le mani. O almeno i guanti! “E’ un cane che si morde la coda”, mi dicevano qualche sera fa alcune amiche con cui si chiacchierava piacevolmente davanti ad un aperitivo. E davanti ad un cane che si morde la coda il senso comune ci ha insegnato a guardare per un po’ il suo gioco stupido, tra il divertito e il superiore, per poi distogliere l’attenzione verso qualcosa di più utile.

Credo che stavolta il gioco dovrebbe andare un po’ diversamente. Interrompere il movimento del cane, con una pallina colorata che lo distolga dall’inutilità del suo sforzo, o con una bella pedata nel culo (che gli amici animalisti possano perdonare la sadica crudezza della metafora…). Se no il cane si stanca, si accascia …“e poi muore”, come dice Baz.

Concordo con tante osservazioni sull’ambito nazionale: non si può pensare di cambiare tutto da oggi a domani. Ci sono giochi estremamente remunerativi, logiche che tendono a creare anche lobbies di poveretti, purché siano lobbies, tentazioni difficili da riportare tra i binari della sobrietà… Ma anche lì, se non comincia ad impegnarsi chi capisce la necessità e l’utilità del cambiamento, chi dovremmo aspettare?

Faccio ancora più fatica a capire le perplessità nella dimensione locale. Comunale e Provinciale, se non anche Regionale. Qui dovrebbe essere più “facile” decidere di impegnarsi! Conosciamo il nostro territorio, o almeno ciascuno di noi ne conosce un po’. Sappiamo che ci sono problemi che richiederebbero solo un po’ di buona volontà per la loro soluzione, e altre situazioni decisamente più complesse. Dovremmo ripartire dal territorio immediatamente vicino a casa nostra, al luogo dove lavoriamo, alla strada che facciamo tutti i giorni, al campetto (o alla palestra, o alla piscina) dove passiamo il nostro tempo libero.

Creare un gruppo capace di amplificare gli occhi e le orecchie di chi ha possibilità di presentare direttamente alcune osservazioni al Consiglio Comunale (nel nostro caso i Consiglieri di opposizione, ad esempio). Questo è un primo passo che non è poi così difficile da raggiungere.

Ricominciare ad interessarsi al modo in cui vengono spesi i nostri soldi, a quali siano le politiche culturali ed educative della nostra città, a come venga stimolata (o al contrario a come venga talora anestetizzata) la voglia di partecipare, di creare, di impegnarsi che ciascuno di noi ha almeno in alcune occasioni. E non solo.

Siamo ad un bivio. Lo ripeto. Da una parte l’ignavia di lasciare che a governare siano sempre quelli, dappertutto (non ne faccio una questione di destra o di sinistra), abdicando al nostro sacro diritto di esprimere un voto utile, e disinteressandoci progressivamente a quanto avviene nei luoghi di potere. Dall’altra il coraggio di rimboccarci le mani costruendo un nuovo progetto di vita sociale e politica, come forse sono troppi anni che non si fa più. La prima è la strada della lamentazione improduttiva, la seconda è la strada dell’impegno e della responsabilità. La prima porta alla cittadinanza che insegue l’alibi di non votare per potersi lamentare di chi c’è, la seconda alla soluzione dei problemi (che passa, probabilmente, attraverso qualche errore e qualche illusione utopica destinata a naufragare).

Di gente capace in giro ce n’è più di quanto si creda. Ci sono tanti giovani disposti a lavorare con grande competenza per quello che i genitori reputano un piatto di lenticchie per gli standard dei “bei tempi andati” (quando una parte dei problemi si risolveva indebitando le generazioni future).

Questa situazione paradossale può diventare una via di resurrezione.

Spesso il buon senso si nasconde, ma non ha ancora abbandonato questa terra. Fortunatamente.

L’errore sarebbe darcela su senza provare.