Come Gaber, eternamente in bilico tra la casa e la strada…
In questi giorni (anni, ormai, mi verrebbe da dire) di palude politica ed istituzionale, metta il dito qui sotto chi ha veramente voglia di impegnarsi in politica.
Sbaglio o ci sono un po’ poche dita, sotto questo palmo?
Cominciamo a togliere, con un taglio forse un po’ troppo “tremontiano” (nella sua accezione corrente, cioè senza guardare troppo in profondità dentro i distinguo del caso), quelli che stanno facendo da più di 2 decenni politica attiva e che sono, per forza di cose, un po’ troppo invischiati negli interessi legati alla poltrona.
Le dita si riducono notevolmente.
Nulla in contrario a chi fa politica da tanti anni.
Anzi, sono convinto che la loro esperienza e la loro capacità tecnica potrebbero essere preziosissime per tanti giovani che, a dispetto dei tempi duri, provano a prendere parte a questo antico e sempre nuovo gioco.
Eppure costoro, almeno nella maggior parte dei casi, preferiscono conservare le loro posizioni, cercando di “formare” solo persone che un domani non possano dar loro fastidio.
In poche parole, delle pecore attente ai comandi del pastore, capaci di seguire anche le sue più ardite variazioni di rotta!
Se la classe politica precedente cerca di formare la successiva in modo da poterla costantemente controllare, temo si arrivi …beh, che si arrivi dove siamo arrivati ora!
Chi sa fare, non vuole spesso trasmettere per paura che si vada seriamente in una direzione di cambiamento che possa escluderlo dai giochi. E così gioca a fare il riformista da laboratorio (intesa come situazione controllata e controllabile).
Chi non sa fare (e l’impressione ormai è che siano davvero tanti) si guarda bene dal recuperare gente con maggiori competenze che potrebbe fargli le scarpe.
Qualcuno c’è che comincia a capire che rischiamo di arrivare ad un punto di non ritorno…
I sistemi che tradizionalmente chiamavamo “partiti” e che con il passare degli anni sono divenuti “movimenti”, “aree”, “unioni”, “popoli”, hanno fatto chiaramente il loro tempo.
Ce lo dicono i dati di affluenza alle urne, in costante calo.
E’ inquietante come un gran numero di spettatori si sintonizzi alle 7.00 del mattino su La7 per sentire politici che si scannano (ed è un po’ deluso quando la compagine invitata non passa alle mani dopo qualche minuto) per addormentarsi la sera dopo aver sentito gli ultimi urli di Ballarò-Santoro-Vespa-et similia, e poi magari quelle stesse persone, con la scusa dell’indignazione, decidano di non andare neppure a votare!
Il civismo e la dimensione dell’”associazione”, che possono produrre ottimi risultati a livello locale, non sembrano però in grado di strutturarsi in una dimensione parlamentare. E appena un gruppo di persone capaci viene marchiato a fuoco da un simbolo policromo, le logiche di lavoro mutano e si ricade nella tentazione di un nuovo partito, con un nuovo vaghissimo programma, incapace di trovare convergenza su alcuni problemi concreti e di lasciare reale libertà di voto sui temi morali, per paura dei personalismi…
Si è fatto della politica un mestiere.
Forse in controtendenza, ma credo che sia giusto che la politica sia un mestiere ben pagato.
E’ un lavoro senza orari e senza reali pause, richiede competenze tecniche e ottima capacità di lavorare in gruppo …senza togliere che, se fatta bene, produce vantaggi per tutti in termini di qualità della vita e guadagno materiale!
Ma, e qui credo stia il problema, dovrebbe essere un lavoro a tempo determinato: un paio di mandati per svolgere seriamente e in maniera ben remunerata uno dei compiti più difficili, per poi lasciare il posto ad altri che nel frattempo hai formato per proseguire sul tuo solco. E non per andare a fare il mega dirigente nel tale o tal’atro ente pubblico o simile! Per tornare a fare il tuo lavoro, certo meno remunerato di quando facevi il politico, ma forse altrettanto gratificante.
Per evitare che la politica diventi il mestiere di chi non ha altro da fare.
Guarda …se un parlamentare, finito il suo mandato, tornasse a lavorare all’interno di una ditta o in altro luogo deputato al lavoro comunemente inteso, credo che non ci sarebbero problemi a riconoscergli un consistente benefit all’arrivo dell’età pensionabile!
Forse mi sto perdendo …torniamo a Gaber.
Ero partito da Gaber perché in questo periodo lo sto frequentando molto. Non che questo sia un’eccezione: il Teatro Canzone, da quando l’ho scoperto, è una delle presenze costanti della mia formazione permanente. Ma in questi giorni sto servendomi tantissimo della grande capacità del mitico duo Gaber-Luporini per capire un po’ meglio cosa mi stia capitando.
Da un lato una gran voglia di richiudermi nel mio mondo con la ragazza di cui sono innamorato e con i miei amici, nella speranza che tutto quello che c’è attorno duri fino ai nostri 80 anni, senza preoccuparmi troppo di quanto mi accade attorno, colto dallo sconforto che forse cambiare le cose non è possibile. Ma con il rimpianto di non aver saputo costruire qualcosa per chi verrà dopo di noi.
Dall’altra una gran voglia di armarmi e partire, per cambiare davvero questo mondo, perché farlo è ancora possibile (con un’incoscienza a metà strada tra Che Guevara e Don Quixote, ma forse più tendente al secondo!). Ma con la paura di non trovare compagni adatti al mio viaggio, e di non capire realmente come abbattere muri così grossi.
E così il sommo Giorgio mi riecheggia in testa:
C’E’ SOLO LA STRADA (1974, dall’album Anche per oggi non si vola)
C’è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l’unica salvezza
c’è solo la voglia, il bisogno di uscire
di esporsi nella strada, nella piazza
perché il giudizio universale
non passa per le case
in casa non si sentono le trombe
in casa ti allontani dalla vita
dalla lotta, dal dolore, dalle bombe.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.
ANNI AFFOLLATI (1981, dall’album omonimo)
Anni affollati degli ultimi dieci anni
non riesco più a smaltirvi, c’è troppo poco oblio.
Anni affollati di gente che ha pensato a tutto
senza mai pensare a un Dio.
Di troppe cose non so cosa farne
per me che avrei bisogno di poche immagini ma eterne.
Anni affollati.
Anni affollati.
Anni affollati, per fortuna siete già passati.
Anni affollati, per fortuna siete già passati.
andrea.prof
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