Sasso Marconi, lunedì 4 febbraio 2013
Il countdown oggi segna 0. In realtà sono ormai 3 giorni che segna 0. Ma lo guardo solo oggi per la prima volta. Da venerdì a stamattina ho staccato la spina su tutte le questioni lavorative. Lo avevo fatto partire circa 2 mesi fa. Poco prima di Natale, direi. Dopo che, a metà novembre avevo preso la decisione di dimettermi.
6 anni passati a fare il subagente di assicurazione. Un lavoro che probabilmente non è mai stato mio. Ma che mi lascia, fortunatamente, anche qualche bel ricordo e tante nuove relazioni, oltre ad una diffusa sensazione di amarezza. Di progetto fallito. Di aver toccato con mano una delle cause di stagnazione della nostra martoriata Italia.
La mente torna a 6 anni fa. Quando l’attività della piccola SRL che avevamo messo in piedi con un grande sforzo stava andando a rotoli. Finanziamenti ridotti, tempi di pagamento allungati, contratti di gestione in discussione: meno soldi con la pretesa di fare le stesse cose. Ritornello già sentito.
E quindi, sfruttando un’opportunità inattesa, di quelle che la vita ogni tanto ti mette davanti, avevo deciso di “cambiare aria”. Con la speranza che fosse arrivato il tempo di un lavoro un po’ più regolare, e di guadagni un po’ più stabili. Il lavoro regolare c’è stato, con i suoi pregi e i suoi difetti. E pure i guadagni si sono stabilizzati, anche se decisamente al di sotto delle mie aspettative. Non era fondamentalmente cambiato nulla: qualche serata e qualche week-end libero in più, in cambio di qualche mal di pancia in più. E di un po’ di noia.
Nei primi giorni di dicembre, dopo che avevo già dato le dimissioni, mi è capitato di sfogliare l’agenda e di trovare questo appunto, sulla data del 21 dicembre 2012 (la fine del calendario Maya, con conseguenti timori goliardico-millenaristici): “Se il mondo non è finito e non mi sono ancora arricchito, mandare a fare in culo il mondo dell’Assicurazione!”. Scritto di mio pugno. Non so quando. Forse un anno fa, quando la voglia di fuggire si era fatta incontenibile. Forse più. Di certo è l’ennesimo segnale di conferma: 6 anni era il termine massimo ragionevole per fare un bilancio tra aspetti positivi ed aspetti negativi. Abbastanza per dire di averci provato seriamente, abbastanza per pretendere che il noviziato fosse finito, abbastanza per pretendere qualche soddisfazione in più. E così sarebbe andata, con buona probabilità. Se non ci fosse stata la crisi. Ma le crisi ogni tanto accadono, e raramente pubblicano avvisi con grande anticipo.
Forse non siamo una generazione destinata alla stabilità, almeno nei grandi numeri. O forse la stabilità come la intendevano i nostri genitori o i nostri nonni non fa più parte di questo mondo. Con buona pace di chi ha le spalle un po’ più larghe, e può fare finta che il lavoro non sia importante (“Farei qualunque cosa pur di evitarmi la noia dell’ufficio…”, dice dall’alto dei suoi 41 anni con aria radical chic, come se i suoi 2.500 euro da lavoro dipendente non esistessero), che la famiglia non sia importante (“In fondo, l’unico problema è trovare compagnia per la notte di tanto in tanto…”, mostrando un’evidente confusione tra famiglia e sesso), che la casa non sia importante (“Basta poi un tetto sulla testa …che dico un tetto? Una roulotte, una tenda…”, frase pronunciata sul divano massaggiante davanti alla TV da mille mila pollici, subito dopo le lamentazioni per l’IMU versata). Con buona pace del Presidente del Consiglio che scherza sulla monotonia del posto fisso, o del suo ministro lacrimoso che bolla i giovani come “choosy”, dopo aver ben piazzato figli e familiari vari si intende. Mentre sotto i loro occhi si consumavano le peggiori porcate bancarie ed assicurative che la storia d’Italia ricordi.
Dopo esserci sorbiti tutte le cosiddette “riforme” della scuola italiana (quanto si è abusato di un termine tanto nobile per indicare la sperimentazione da laboratorio!), di ogni ordine e grado, dopo aver subito il proliferare di divieti folli e l’incapacità di controllare demandata sempre ad altri, certi fin da fanciulli di subire le nefaste conseguenze della riforma (ancora questa parola magica…) delle pensioni …come potremmo pretendere una vita lavorativa regolare?!?
Difficile immaginare una via d’uscita, parrebbe. Ma sono certo che ci sia.
Prima di ogni altra cosa, credo che si debba operare una riforma etica profonda, che riguardi i comportamenti di ciascuno di noi. Dobbiamo recuperare una dimensione morale, nel senso nobile, non svilente, del termine. Maggiore consapevolezza di quello che facciamo, del perché lo facciamo, e di quello che siamo intenzionati a sopportare da parte di altri.
Sono stanco di quelli che confinano la morale alla vita privata, quasi fosse un lusso da fine settimana o da vacanze in Sardegna. La cosiddetta “sospensione del giudizio” viene usata in senso più utilitaristico che fenomenologico. Morale ciclico-mannara, simil-paracula. Mi spiego meglio: sono stanco di chi dice “io sono una persona onesta, anche se per lavoro mi tocca inculare la gente”. Perché abbiamo sempre più l’impressione che la moralità sia qualcosa che non riguarda le 8 ore della giornata lavorativa? Non capendo che è un po’ come quando i gerarchi che facevano sparare sulle persone disarmate per strada si facevano poi fotografare con la moglie e i figli paffuti i stile “Famiglia Cuore”, o come quando ci fanno vedere i capimafia che fanno la Santa Comunione in Chiesa durante il giorno del Signore. Sveglia! Quasi tutte le scelte sono anche etiche. La morale non va in vacanza quando eseguiamo ordini o obbediamo a direttive, sia in guerra che per lavoro.
E’ vero che la società in cui siamo, la televisione che guardiamo, i politici che ci governano, ecc… spesso ci convincono che dobbiamo abbassare il tiro. Che dobbiamo accontentarci e non farci troppe domande. Che, in fondo, un “buon guadagno”, qualunque cosa si intenda, merita qualche “pizzico sulla pancia”, che sempre più spesso equivale ad una vergognosa narcolessia della coscienza.
Smettiamo di illuderci. Se ti vendo una fregatura, non basta l’alibi che sul mercato non ci sia poi tanto meglio, che “se non lo inculi tu, si farà inculare da qualcun altro”. Quando impegno tutte le mie forze intellettuali per convincerti, o, come dicono i manuali, per “superare le tue obiezioni”, probabilmente ti sto rompendo i coglioni e sto indirizzando ad un obiettivo sbagliato la mia intelligenza. Quando ometto dettagli scomodi che potrebbero farti venire dei dubbi sull’acquisto, sto rinunciando alla mia funzione di consulente.
A questo punto, scusate il lungo delirio, forse può esserci bisogno di fermarsi a pensare, e cercare di capire se fare qualcosa che sia un po’ più in consonanza con le nostre aspirazioni. Qualcosa che ci faccia sentire un po’ più a nostro agio con noi stessi.
E così ho deciso di abbandonare la nave, che oltre tutto mi sembrava inoltrarsi verso cattive acque. In zattera verso l’ignoto, con l’unico vantaggio di non avere con me una tigre del Bengala. Senza grosse certezze sulla rotta da seguire o sulla destinazione. Ma almeno libero!
Sto mandando in giro il mio curriculum come non ho mai fatto prima. Vorrei raggiungere tutti i teatri, i musei, le fondazioni culturali. Non mi dispiacerebbe mettere la mia esperienza di organizzatore a disposizione della costruzione e gestione di pacchetti turistici, culturali, enogastronomici. Se c’è qualcosa che so fare, è a disposizione di chi si preoccupa di rendere questo nostro mondo un po’ migliore. Ma non mi sono posto quasi nessun limite.
La situazione in sostanza è: “Astenersi assicurazioni e banche. Mentre con i perditempo, almeno in questa fase, un caffè e due chiacchiere posso ancora investirle!”
Mi sembra utile, a questo punto, più a me che a chi legge, probabilmente, riportare una sintesi quasi letterale delle 8 regole enunciate da Beppe Severgini in Italiani di domani. Forse non esaustive per i numerosi problemi del nostro amato Stivale, ma comunque un gran bel programma da cui ripartire per risolverne una buona parte:
NON ASPETTARE. La festa è finita. Con buona pace di chi non c’era.
NON TEMERE. L’Italia è un paese naturalmente conservatore, ma non tutto è da conservare.
NON PIAGNUCOLARE, ma sforzarsi di slegare l’Italia dai suoi lacci.
NON TACERE. L’orgoglio nazionale è necessario, ma questo non vuol dire difendere l’indifendibile.
NON NASCONDERSI. Trasformare i bei gesti in buoni comportamenti.
NON ILLUDERSI. Noi cittadini chiediamo procedure snelle, ma dovremmo avere l’onestà di non approfittarne.
NON AGITARSI. Un paese dove si evade tanto, si ruba troppo, si produce poco, si lavora male, si complica tutto e non si cresce per nulla, non ha futuro.
NON FERMARSI. Don’t stop thinking about tomorrow
Il 2013 è appena cominciato …c’è tanta strada da fare, ma almeno siamo in cammino!
Buona strada e buona vita.
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