Cinghiale laureato
“I sound my barbaric yawp over the rooftops of the world.”
Walt Whitman
Nel mio girovagare alla ricerca di contaminazioni letterarie, tra cinema, musica e rete, mi imbatto in un discorso del mio vecchio amico Fabrizio De Andrè. Si tratta, credo, della risposta ad una domanda di Mollica sull’utopia, durante una delle sue molteplici interviste a Faber.
E’ simile nel tono a quei discorsi tra l’erudito e il naif con cui spesso introduceva i brani durante i concerti o spiegava i suoi progetti al suo pubblico, per cercare di esplicitare l’occasione che li aveva originati e le loro complesse sfaccettature. Quelle robe che, se le cerchi di smembrare andando a fondo, spesso ti lasciano un po’ perplesso, ma che appena le senti sono capaci di folgorarti. E comunque ti aiutano a pensare.
“Io penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci, sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura.”
Un cinghiale laureato in matematica pura. Un’immagine potentissima… Perché la verità è che fin da piccoli, fin dall’alba di questo nostro Occidente, ci hanno insegnato a guardare sempre come inevitabile la dicotomia tra ragione e sentimento, tra cervello e cuore, tra calcolo e pulsione istintiva. In amore suggeriamo spesso, citando un titolo cult della mia adolescenza, “Va’ dove ti porta il cuore”. Mentre spesso ci fanno relegare la ragione alla sfera del calcolo sterile, dell’interesse, della ragione superiore.
Come la ragion di stato in nome della quale, si dice, il governo inglese decise di lasciare che la città di Coventry venisse bombardata dai nazisti, per non far capire ai tedeschi che la loro intelligence era arrivata a decrittare il codice segreto utilizzato dall’evoluto dispositivo Enigma in dotazione alle truppe di Hitler.
In generale, si rischia di contrapporre, sterilmente, ragione e sentimento. E di illudersi che il conflitto che si gioca dentro di noi sia semplificabile a solo due parti in gioco. Lacerati come tirati da due cavalli che tirano in direzione contraria, e non sfaccettati e fragili come mosaici di pezzi di vetro, pietra ed infiniti altri materiali.
In realtà quella che introduce Faber è una terza sfera, rispetto alla semplificazione: quella dell’ideale e del sogno. E nel suo discorso diventa talmente importante da essere considerata caratterizzante per la specie “uomo”. Mica cazzi!
Probabilmente il tema è più complesso di quello che sembra, sbattuti come siamo a destra e a manca, da Aristotele e da Platone, da San Tommaso e da San Paolo, da Cartesio e da Coleridge, da von Neumann e da Freud… Portati a confondere ideali ed ideologie, utopie e fanatismi politici, sfera dell’irrazionale e costante tentativo di piazzarcelo in quel posto.
Qualcuno nel corso della storia del pensiero ha provato a farlo presente. Il Rinascimento con le sue città ideali governate da sapienti, Voltaire con il suo superamento della deificazione dell’intelletto, Popper con la sua analisi della fallibilità della ragione, Goleman con le sue tante intelligenze… Solo per citare qualcuno.
Ma nella percezione comune non ci siamo ancora davvero allontanati dalla dicotomia originaria. Ce lo ricorda il cinema, soprattutto quello facile, di cassetta. Ce lo ricordano le canzoni del bel canto all’italiana. Addirittura provano ad insegnarcelo a scuola, quelli che vorrebbero, probabilmente a ragione, uscire dalla logica dell’erudizione e delle didascalie appiccicate con lo sputo.
Ma il risultato ottenuto non va molto oltre quella dicotomia iniziale. Con qualche variazione sul tema, forse. Certo pericolosissima! “Segui il tuo corpo”, cioè comportati da cinghiale, e considera il tuo istinto come unica misura, calpestando i confini dell’esistenza dei tuoi simili, come se qualunque spinta che viene dai tuoi visceri fosse l’unica legge di vita possibile. Però, magari nello stesso tempo, calcola sempre, come se tutto quello che può essere giustificato razionalmente fosse al contempo giusto. Perché, prendendo spunto dai peggiori stoici, se lo puoi giustificare, puoi farlo!
Perché in questo siamo stati molto bravi, nell’ultimo secolo: far laureare il cinghiale! Insegnandoli a dare una parvenza di ragione e civiltà a quello che era palesemente inumano. Vivere pensando ai nostri simili come meri strumenti per l’attuazione delle nostre pulsioni.
Di questi tempi il richiamo al sogno e all’ideale è quantomeno utile, in quanto ci costringe a fare il punto sulla nostra umanità minata. E forse anche ripercorrere la carriera artistica di un attore come Robin Williams all’indomani del suo suicidio in preda alla depressione, così inspiegabile per chi vede la risata dipinta del clown, può esserci utile in questa direzione.
Un uomo ha bisogno di credere in qualcosa, e dire che devi solo “credere in te stesso” è una delle panacee tipiche di quell’atteggiamento mentale di cui parlavo prima. Quella dell’uomo-isola. Quella che vuole sbandierare meritocrazie e giustizie sommarie, basate su stati d’animo sociali spesso passeggeri e utili ad auto-giustificarsi. E questi stati d’animo sono normalmente finalizzati soprattutto al vantaggio di colui che agisce.
E, sono consapevole della stranezza dell’affermazione, forse l’uomo ha proprio bisogno di utopia. Anche nell’epoca del progresso accelerato, della globalizzazione e della tecnologia onnipervasiva. Di tendere a qualcosa, anche nella consapevolezza che ci sono un sacco di motivi per cui potrebbe non riuscire.
Abbiamo insegnato ai nostri figli come essere furbi, abbiamo loro spiegato come raggiungere gli obiettivi, cosa fare in nome del sacro principio dell’utilità. Ma abbiamo spesso creato, per istituzionalizzare i nostri errori, esseri umani sempre più deboli, pur nella loro aggressività, sempre più poveri, pur nel loro benessere. Sempre più incapaci di distinguere tra quelle radici che sono indispensabili per volare con le proprie ali e la semplice abitudine anestetizzante.
“Prova a riflettere. Che genere di uomo lo farai diventare, se lo educhi nella paura? Povera bambina mia, non possiamo vivere al posto dei nostri figli (anche se a volte ci accade di desiderarlo). Ciascuno deve vivere e soffrire per conto proprio. Il più grande favore che possiamo fare loro è tenerli all’oscuro della nostra esperienza.”
Irène Némirovsky – Il calore del sangue
Utopia è quello che adesso probabilmente non può essere capito, ma che spinge in qualche direzione. Il cambiamento reale è quello che io che sono abituato ad altro non riesco a comprendere a pieno. E non può esserci movimento se non sbilanciando il passo un po’ avanti.
Tra l’altro, non ha neppure molto senso pensare di muoversi solo all’interno di tracciati segnati. O lasciarci illudere, a causa della nostra caratteristica arroganza epistemica, di essere realmente capaci di prevedere il futuro. Né con una nostra azione diretta sulla realtà, grazie ai prodigi della nostra capacità di manipolare l’esperienza. Né indirettamente, attraverso qualificati esperti profumatamente pagati da noi o dalla collettività, che possano rafforzare le nostre convinzioni di comodo, conducendoci sorridenti e boriosi verso lo schianto della civiltà. Mentre tutti si lamentano e pochi fanno davvero qualcosa.
“This is the way the world ends
This is the way the world ends
This is the way the world ends
Not with a bang but a whimper.”
T.S.Eliot – The Hollow Men, 1925
Perché è inutile diventare schiavi, più o meno consapevoli, della statistica, e trovarsi comunque all’interno di uno scenario caratterizzato da infelicità, frustrazione, conflitti armati, crimini contro l’umanità, pretestuosi aumenti di capitale.
Siamo esseri complessi. Dinosauri e scimmie non sono così vicini come le nostre comode semplificazioni ci portano talvolta a credere.
on lasciamoci ingannare dai cinghiali laureati!
Anche con un pezzo di carta, un cinghiale resta un cinghiale. Animale talvolta sgradevole (che risulta certamente più simpatico sulla tavola imbandita del villaggio di Asterix di quanto non lo sia durante un incontro uno ad uno di notte nel bosco), probabilmente dotato di intelligenza istintiva e di affettività procreativa, ma che certo non è degno di divenire nostro modello di sviluppo.
Cerchiamo nuove strade. Immaginiamo nuove realtà. Non lasciamo che vengano uccise le relazioni reali.
La popolarità è un criterio utile per migliorare l’efficienza dei motori di ricerca, ma non può essere l’unica linea guida dello sviluppo del mondo.
“Two roads diverged in a wood, and I
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.”
Robert Lee Frost – The Road Not Taken, 1916
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