Korean memories
Devo andare in Corea. E sarò solo. Le due notizie mi arrivano in tempi diversi, ma quando finalmente realizzo il fatto che tra poco più di una settimana sarò a Seoul, vado nel panico.
E non per il viaggio intercontinentale, che al momento rappresenta senza dubbio il volo più lungo della mia vita. Ma perché non voglio arrivare impreparato all’incontro…
Non so quando mi capiterà di tornare in Asia e, anche se so bene che non avrò molto tempo per fare il turista (di solito non vedo molto più di aeroporto, albergo e luogo dell’evento, salvo qualche rapido flash urbanistico mentre ci si sposta da un luogo all’altro), vorrei capire dove sono.
Innanzitutto …dove è esattamente la Corea?
Quando ci penso, così a freddo, penso alla Guerra degli Anni 50, che avrebbe dovuto veder coinvolto anche mio padre con il suo contingente, a supporto delle operazioni americane attorno al 38° parallelo. Penso alla divisione di un paese eternamente trascinato tra Cina e Giappone, tra Russia e Stati Uniti. Spesso in modo violento.
“Tra Manciuria e Giappone” mi dice la preziosissima Wikipedia. Vado a vedere la mappa …non avrei pensato che nomi come Vladivostok o Hiroshima finissero per comparire nella stessa porzione di mappa. Divisione… Questa è la prima cosa che metto a fuoco. E il fatto che da qualche anno le cose si siano rimesse in movimento, che dalla Corea del Nord arrivino dichiarazioni di guerra e notizie di repressioni violente delle manifestazioni popolari non mi piace poi così tanto.
Andiamo avanti con la ricerca. Guardo un po’ alla lingua: i caratteri squadrati sono facilmente distinguibili da quelli cinesi, ma è difficile farsi un’idea quando non si hanno riferimenti relativi alla struttura. Non esiste religione ufficiale, ed è presente una buona componente cristiana, seppure dispersa tra confessioni diverse. Il clima risente di influenze siberiane, e in questo momento dell’anno si rischia già di scendere sotto lo zero, e le foto del fiume Han gelato con i coreani che ci pattinano sopra e che fanno buchi tondi per pescare mi rimandano a dolci ricordi di cartoni natalizi e dei documentari che hanno accompagnato la mia infanzia. La corrente è a 220V e la spina più diffusa è sostanzialmente una schuko, e quindi mi sento più che tranquillo da questo punto di vista.
Purtroppo non riesco a dedicare molta altra attenzione alla preparazione del viaggio. E cerco di captare dal mio gentilissimo collega Elio qualche notizia qua e là.
Parto abbastanza impreparato …spero di trovare qualcuno sul posto che mi aiuti a completare il quadro.
E, fortunatamente, dopo il viaggio davvero eterno e massacrante, lo trovo. Jeff, 48 anni (anche se l’età sarebbe indecifrabili ai miei occhi se non me la rivelasse lui), con un nome coreano assai complesso che lui ha trasformato in Jeff quando alla fine degli Anni 80 si è trasferito a Londra per lavorare e studiare l’inglese.
Quando gli dico che è la mia prima volta in Asia, si sente onorato da questo ruolo di ambasciatore del mondo Orientale nei miei confronti, e iniziamo subito a parlare di un sacco di cose, che poi, dice, mi farà vedere o provare nel corso dei prossimi giorni. Sento parlare per la prima volta di kimchi, di shabu shabu …e dell’immancabile soju. E mi avvisa che vedrò ragazze bellissime.
Contatto veloce con un albergo che comunque pare decente (letto comodo e bagno pulito sono i due requisiti indispensabili, il resto è un plus). Visita nel suo ufficio nonostante sia domenica, per pianificare la mia visita in dettaglio. Incontro con il Boss e sopralluogo all’albergo in cui si svolgerà l’evento, vagando tra gli altissimi grattacieli di vetro e cemento. Quando vede che sono totalmente fuori fase per colpa del viaggio e del fuso orario (8 ore di differenza) accetta di portarmi in albergo, anche perché nel frattempo si è fatto pomeriggio inoltrato e io sono in giro dall’alba del giorno prima. Un dato su tutti mi resta in mente: nel centro cittadino abitano 12 milioni di persone. Una delle zone più popolate del mondo, per una delle economie più in crescita del pianeta. Una cosa mi è chiara fin da questo primo contatto: qui non si scherza un cazzo!
Doccia veloce, prima esperienza con il mio tecnologico washlet, wc con funzioni integrate di bidet e riscaldamento, che finora ho visto solo nei film, e rapido zapping nella televisione coreana. Troppo coreana per uno appena arrivato: improbabili talk show con scritte fumettose che appaiono dovunque, tornei di golf e sfilate di intimo con brand da nomi che ammiccano all’Italia.
Respingo nella mente i ricordi di Mai dire banzai, e le prese in giro alle televisioni orientali: cerchiamo di ridurre l’efficacia degli inevitabili filtri culturali!
Decido di fare due passi nei dintorni, giusto per mangiare un boccone. Al banco dell’accoglienza non mi danno grossi aiuti, visto che la più anglofona delle giovani receptionist non spiccica quasi parola. E, appena uscito, mi rendo conto di vari problemi: quasi nessuno parla inglese, le scritte sono solo in coreano, e non ho cambiato i miei soldi. Vago un po’ per il mercato del quartiere popolare: colori e profumi che mi colpiscono un sacco, ma nessuno è attrezzato per la carta di credito. Vedo all’orizzonte un Burger King e faccio quello che avrei preferito evitare: hamburger, Coca e patatine, e la promessa che all’indomani avrei cambiato i miei Euro.
Torno in camera e mi fiondo nel letto, non avendo neppure troppo chiaro che ore siano. Mi sveglio più volte nel cuore della notte. Ma dormo abbastanza bene, nel mio comodo lettone.
La mattina altro brutto colpo: la colazione non è inclusa, e nella sala colazione a buffet ci sono due scolaresche indiavolate che si sposano male con la mia voglia di un inizio di giornata graduale. La sera prima avevo visto uno Starbucks a pochi passi da qui. Senza pensarci troppo esco e vado di Caramel Macchiato e tortino al cioccolato. Appena cambiati i soldi potrò finalmente buttarmi a capofitto per le stradine popolari, ma ora devo accontentarmi di fare le mie scelte basandomi sulla modalità di pagamento.
Non annoierò più di tanto con gli impegni lavorativi. La domenica passa tutta tra strette di mani accompagnate da inchini, chiacchiere varie, montaggio dell’impianto per l’evento, mio intervento durante la convention, e lunghissima cena di gala. Comincio a cercare di capire la cucina e le abitudini coreane. Si mangia presto, sia a pranzo che a cena. Il pranzo di lavoro è veloce, mentre la cena segue tutta una serie di ritualità importanti. Carne, verdure e pesce …potrei vivere qui e trovarmi comunque bene!
Nei giorni successivi il lavoro si svolge con una serie interminabili di meeting con le varie parti dello staff: il management generale, i commerciali che seguono i vari marchi, i tecnici, la responsabile marketing, l’After Sales, ecc…
E durante le serate, esperienza di vera vita coreana.
La prima sera di uscite sociali, barbecue coreano (bulgogi). La cottura avviene al tavolo, e la griglia a gas e carbonella è posta al centro dello stesso, seguita dalle cure dell’esperta cameriera che taglia, rigorosamente con le forbici, e compone sulla griglia i vari ingredienti. Sul tavolo un piatto di kimchi, una pietanza di cavolo ed altre verdure fermentate e speziate, dalla tradizione plurimillenaria e protetta dall’Unesco. La carne è rigorosamente carne di maiale non marinata (mi spiegano che si possono usare anche carni marinate in salsa di soia o variamente preparate). Il taglio assomiglia ad una pancetta, tagliata un po’ alta e con un po’ di cotica, molto gustosa. Ogni boccone viene consumato avvolto in una foglia di insalata, dopo un breve passaggio del pezzo di carne nel sale speziato e nella salsa (agrodolce o piccante). Davvero una gustosa esperienza! E’ il momento di fare la conoscenza anche con il famigerato soju, un distillato di riso, orzo o frumento, una delle bevande più consumate al mondo, consumato diffuso prevalentemente in Corea, in grande quantità. Una delle prime informazioni antropologiche che mi avevano dato e che avevo preso sottogamba mi è a questo punto chiarissima: i coreani bevono. Tanto. Per fortuna che non sono troppo fuori esercizio neppure io: questo mi aiuta a sopravvivere alla serata! Quello che consumiamo a tavola ha poco più di 20 gradi, ma mi dicono che può arrivare anche ai 45 gradi. Durante la cena beviamo solo quello, a parte un bicchiere di tè verde al gelsomino di pura compagnia. Il rito è socialmente interessante: chi apre la bottiglia la fa ruotare rapidamente producendo all’interno un grazioso vortice. Non ci si versa da bere da soli, ma l’un l’altro. E chi porge il bicchiere lo fa con due mani, in segno di rispetto. Chi versa lo fa sorreggendo l’avambraccio destro, che tiene la bottiglia, con la mano sinistra. Il primo bicchiere viene bevuto d’un fiato, mentre gli altri possono essere consumati con calma …in realtà la calma nella consumazione almeno al nostro tavolo è puramente teorica: appena uno finisce il bicchiere, invita gli altri a fare lo stesso e si parte con un altro giro, tra risate sempre più sguaiate e guance sempre più paonazze. Mi sa che ormai sono nel tunnel!
Dopo il ristorante, <em>wine</em> bar con due bottiglie di Blue Label che ci aspettano già all’arrivo. Visto che ho detto di essere appassionato di birra, mi fanno trovare anche una selezione di birre coreane. Beh, il termine “selezione” è un po’ ingeneroso, visto che abbiamo a nostra disposizione un frigo con tre casse! Qui cominciamo a fare la conoscenza con l’uso di avere ragazze di compagnia, in questo caso più che semplici cameriere, ma ancora meno che escort. Riempiono bicchieri e piatti con grande premura. Alcune sono semplici presenze sorridenti e silenziose, altre accennano qualche conversazione in inglese e scambiano qualche battuta.
Non sono riuscito a capire bene, nel corso delle uscite coreane, come funzioni esattamente la questione delle donne. Durante il pranzo di lavoro, le colleghe mi preparano amorevolmente le portate, durante le cene e le uscite nei pub e nei bar ci sono varie figure che girano attorno al tavolo, alcune più silenziose e discrete, altre cortesemente di compagnia, altre ancora più provocanti ed evidentemente disponibili ad andare oltre nell’interazione sociale. Durante le due serate di uscite veramente moleste, ho attraversato situazioni davvero molto diverse tra loro, ma non sono riuscito esattamente a farmi un idea dei confini tra i ruoli. Siamo stati in locali di super lusso, con marmo a terra e specchi alle pareti, e in locali decisamente più popolari, ma la presenza costante di ragazze di compagnia non sembrava seguire le stesse regole.
L’esperienza più divertente è stata soprattutto quella del K-TV. Ci sono alcuni karaoke per famiglie, altri pensati per passare la serata con gli amici e altri ancora a luci rosse. Nel nostro caso, ci siamo trovati in una stanza tutta dedicata a noi, con la compagnia di bellissime ragazze, che però, una volta capito che non eravamo interessati al sesso a pagamento, sono rimaste a cantare e ballare con noi in un clima decisamente piacevole. Decisamente meno turbate dalla scelta rispetto alle loro colleghe di lusso della serata precedente! Si sono cantati brani di Sting, di Eric Clapton, dei Beatles, e siamo stati intrattenuti da piacevoli e sensuali danze su improbabili melodie pop coreane che ricordano un po’ le musiche elettroniche delle giovani Idol giapponesi.
Il mio atteggiamento di cortese ma determinato rifiuto mi sono costati qualche discreta occhiata tesa a capire se fossi gay (senza alcuna condanna, solo per capire se potermi soddisfare altrimenti!), poi qualche incomprensibile battuta in coreano, poi un grande rispetto per il “last romantic boy in Italy”…
Le ragazze sono sempre state contente perché la loro serata era comunque evidentemente pagata. I colleghi coreani contenti perché comunque, approfittando del mio (e nostro, visto che anche gli altri ospiti hanno adottato la stessa tecnica) diniego, potevano rimediare qualcosina per loro. Io personalmente soddisfatto perché, capito come rifiutare con garbo, senza offendere né il mio ospite né la ragazza, ho passato davvero ore piacevoli. Portando a casa anche diversi bellissimi sorrisi che resteranno impressi a lungo nella mia mente.
Finito il dovuto excursus su alcolismo sociale e presenze femminili, torniamo a parlare dei miei momenti liberi.
L’ultimo pomeriggio, finito il veloce pranzo di saluto con i colleghi tecnici, cominciano finalmente le mie 4/5 ore <em>off</em>. Il mio amico Jeff, nei confronti del quale si è sviluppato in questi giorni un autentico rapporto di simpatia, accetta di portarmi al palazzo reale Gyeongbok. E’ divertito dalla mia scelta di andare in giro per palazzi e templi, abituato evidentemente ad altro tipo di richieste.
Mi racconta che sono più di vent’anni che non entra nel palazzo. Ci andava da piccolo, in gita con la scuola o nella pausa pranzo dei suoi anni giovanili, durante la bella stagione, per fare picnic davanti alla meravigliosa pagoda affacciata sul laghetto privato che fu sede degli imperatori ed oggetto di numerosi attentati da parte dei giapponesi, fin dal 1500. Mi ringrazia dell’opportunità del salto indietro nei ricordi, e mi parla con emozione di come Seul stia dimenticandosi di alcuni punti di riferimento: ci passa davanti tutte le mattine per andare al lavoro, aveva una gran voglia di fermarsi, ma non aveva trovato il coraggio di regalarsi quel paio d’ore di pace. Tra l’altro, è una rara giornata di accesso gratuito, ed il sole splende alto sui colori d’autunno. Siamo evidentemente benedetti dagli dei e dallo sguardo degli imperatori dei tempi che furono.
Attraversiamo le varie cinte di mura, che avevano sia scopo difensivo, sia lo scopo di tenere l’accesso al palazzo disciplinato sulla base del rango sociale. Vediamo il grande spiazzo davanti alla sala del trono, sia luogo di rassegna per gli eserciti che luogo di esecuzione capitale dei nobili che si ribellavano al potere dell’Imperatore. Costeggiamo i laghetti di ninfee, gli alberi che si stanno spogliando delle loro foglie, e i bellissimi palazzi in legno decorati con teste di drago nere e colori sgargianti. Camminando serenamente e scambiando qualche parola qua è là.
Mi racconta che, anche nei periodi di maggiore tensione tra le due Coree, nessuno ha mai bombardato qui luoghi. Il popolo coreano, mi dice, è in fondo un unico popolo, che ha le sue radici in una serie di luoghi storici e di figure illustri che sono patrimonio comune. L’odio, perfettamente oliato anche ai giorni nostri, è sempre creato a tavolino da qualcuno che arrivava dall’esterno.
Tutti i coreani sono grati al re Sejong il grande (XV secolo) che fece costruire un alfabeto semplificato e più geometrico, che affrancasse i coreani dal complesso alfabeto cinese. Aumentando le possibilità di alfabetizzazione per il suo popolo, e creando di fatto un’unità linguistica e culturale che prima non esisteva. Ora alcuni vorrebbero vivere all’americana, altri si sono allineati al progetto maoista e sovietico, e questo rischia di far perdere a molti la consapevolezza di essere un unico popolo alimentando l’odio. Ma dovunque si possono trovare statue di Sejong e questo, mi dice, è un buon segno.
Al termine della visita del palazzo mi dice che non mi lascerà andare via senza vedere il centro storico di Seoul. Ci buttiamo a capofitto tra stradine con mercati popolari e quartieri con vetrine luccicanti con firme assolutamente europee. Ci concediamo un caffè, un autentico espresso italiano io ed un elegante americano lui, in una delle caffetterie più belle che io abbia mai visto. Facciamo una po’ di shopping da turismo (qualche magnete per la mia ragazza, un po’ di tè, qualche biglietto natalizio) e poi ci concediamo l’ultima esperienza che mi era stata promessa fin dal primo giorno.
Lo shabu shabu, con un nome che si riferisce al fischiare della pentola che bolle. Parente stretto della fondue, la cottura avviene anche in questo caso al tavolo. Esiste sia nella variante a base di carne, derivata dal Giappone e dalla Cina. Che in quella a base di pesce, più vicina al gusto vietnamita. Mi dice che, data la mia breve permanenza, mi farà fare un doppio assaggio. Viene portata una pentola divisa in due parti, e viene posta sul fuoco al centro della tavola. In entrambe le parti si costruisce mano a mano un brodo a base vegetale, in cui vengono messi vari ortaggi. Mentre l’acqua si scalda, partiamo a bollire qualche piccolo ricecake dal delicato sapore del pane di riso. Poi, una volta che il brodo ha preso un po’ di colore e consistenza, immergiamo le fettine di filetto e i crostacei. L’esperienza è davvero molto piacevole.
Il mio ospite mi chiede se voglio godere di un ultimo soju insieme. “Uno solo, però!”, mi dice sorridendo, come se le serate precedenti fossi stato il colpevole dell’incontinenza generale…
Brindiamo, con la ritualità che ormai ho fatto mia. E finiamo di parlare, con piacere, della mia prima esperienza coreana.
Quando carne e pesce finiscono, il brodo viene usato per cuocere noodles feschi e ravioli.
Poi, quando anche il livello del brodo si abbassa, viene fatto all’interno di una delle parti della pentola un pudding di riso e uovo che incorpora morbidamente tutto il brodo residuo.
Sono stracolmo. Soddisfatto. E incredibilmente sereno.
Jeff mi riporta in albergo, prenoto un taxi internazionale (con l’autista abilitato per l’inglese) per la mattina successiva, e ci salutiamo. Con un po’ di affetto vero.
La mattina dopo il taxi è leggermente in anticipo. Il tassista ne approfitta per farmi passare dal lungofiume, dove il governo sta costruendo aree dedicate all’arte contemporanea giapponese, aree picnic in memoria dei tempi in cui i re andavano lungo il fiume a festeggiare con i loro dignitari e le loro concubine. C’è anche un improbabile museo dedicato agli eroi della Marvel e della DC Comics e all’universo di Guerre Stellari, su di una collinetta affacciata sul braccio di mare che separa la Corea dalla Cina. Nonostante la giornata nebbiosa, il profilo della costa della terra del dragone è visibile. Davvero non troppo lontano…
Arrivato all’Aeroporto, tutto è molto fluido. Check-in rapidissimo, controlli di sicurezza molto umani. Prendo qualche bottiglietta di soju in uno dei negozietti dopo i controlli: anche se non mi ha completamente conquistato, non voglio andare via senza. E prenderlo al Duty Free dell’aeroporto è l’unico modo che mi da qualche speranza di farlo arrivare a casa.
Viaggio interminabile, con aereo in ritardo.
Quando arrivo a casa, con un altro giorno di viaggio sulle spalle, sono a pezzi e trovo appena le forze per un bacio alla mia ragazza.
Esperienza davvero impegnativa, per il viaggio, per il lavoro e anche per lo sforzo di immersione culturale. Ma stavolta, almeno, torno a casa portando qualcosa con me.
Non avevo mai avuto grossa voglia di Oriente. Prima d’ora, almeno.
Lascia un commento