…ne parliamo a cena!

Incontro del 28 novembre 1999 su "Cristiani e non"

 

 

"Dissi che anche per me era stato un grande piacere parlare con loro. Ed era vero, tra parentesi. Però lo sarebbe stato molto di più, pensai, se per tutto il tempo non avessi avuto una certa paura che tutt'a un tratto cercassero di appurare se ero cattolico. I cattolici cercano sempre di appurare se siete cattolico anche voi. So che a me questo succede in continuazione perché ho un cognome irlandese, e quasi tutte le persone di origine irlandese sono cattoliche. Sta di fatto che mio padre era cattolico, un tempo. Ma lasciò il cattolicesimo quando sposò mia madre. Ma i cattolici cercano sempre di appurare se siete cattolico anche se non sanno come vi chiamate. Conobbi quel ragazzo cattolico, Louis Gorman, quando stava a Whooton. Fu il primo ragazzo che conobbi lì. Stavamo seduti tutti e due sulle sedie proprio vicino all'entrata di quella maledetta infermeria, il primo giorno di scuola, e aspettavamo i nostri certificati medici, e attaccammo una specie di conversazione sul tennis. A lui piaceva moltissimo il tennis e a me pure. Mi disse che tutte le estati andava a vedere le Nazionali a Forest Hills, e io gli dissi che ci andavo anch'io, e poi per un pezzo parlammo di certi campioni. Era uno che se ne intendeva parecchio, per la sua età. Sul serio. Poi, dopo un poco, proprio mentre stavamo facendo quella maledetta chiacchierata, ecco che mi domanda: " Di' un po', ti è capitato di vedere dov'è in città la chiesa cattolica, per caso? " Il fatto è che dal modo come me l'aveva domandato si capiva benissimo che stava cercando di appurare se ero cattolico. Dico davvero. Non che avesse dei pregiudizi, niente di simile; voleva solo saperlo. Gli stavano piacendo i nostri discorsi sul tennis, ma si capiva benissimo che gli sarebbero piaciuti di più se io fossi stato cattolico e via discorrendo. Queste sono le cose che mi fanno perdere le staffe. Non dico che questo rovinò la nostra conversazione, o qualcosa del genere - non la rovinò affatto - ma è garantito che non la migliorò di certo. Ecco perché ero contento che quelle due suore non mi avessero domandato se ero cattolico. Non che ne sarebbe stata sciupata la nostra conversazione, ma sarebbe stato diverso, probabilmente. Non sto dicendo che critico i cattolici. Non li critico. Sarei cosi anch'io, probabilmente, se fossi cattolico. E proprio come quella storia delle valige che vi ho raccontata prima, in un certo senso. Dico soltanto che non migliora una simpatica conversazione. Soltanto questo."

J.D. Salinger, da Il giovane Holden

 

" La bandiera della Vita, quando sventola, non può che commuovere tutti gli animi. Più di tutti, vorrei dire, quelli dei non credenti, persino degli atei più "fideistici", perché essi sono coloro che, non credendo ad alcuna istanza soprannaturale, trovano nell'idea di Vita, nel sentimento della Vita, l'unico valore, l'unica fonte di un'etica possibile. Eppure non c'è concetto più sfuggente, sfumato."

"I laici hanno ragione di reagire in un solo caso: quando una confessione tenda a imporre ai non credenti (o ai credenti di altra fede) dei comportamenti che le leggi dello Stato o della loro religione non proibiscono, o a proibirne altri che le leggi dello Stato o della loro religione invece consentono. Non ritengo esista il diritto inverso. I laici non hanno diritto di criticare il modo di vivere di un credente - salvo, come sempre, il caso in cui esso vada contro le leggi dello Stato (per esempio il rifiuto di sottoporre i propri figli ammalati a trasfusione del sangue) o si opponga ai diritti di chi pratica una fede diversa. Il punto di vista di una confessione religiosa si esprime sempre nella proposta di un modo di vita ritenuto ottimale, mentre dal punto di vista laico si dovrebbe ritenere ottimale qualsiasi modo di vita che sia effetto di una libera scelta, purché essa non precluda le scelte altrui."

Umberto Eco, da In cosa crede chi non crede (dialogo col Card. C.M. Martini)

 

24. Racconta l'evangelista Luca negli Atti degli apostoli che, durante i suoi viaggi missionari, Paolo arrivò ad Atene. La città dei filosofi era ricolma di statue rappresentanti diversi idoli. Un altare colpì la sua attenzione ed egli ne trasse prontamente lo spunto per individuare una base comune su cui avviare l'annuncio del kerigma: "Cittadini ateniesi, - disse - vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando, infatti, e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio" (At 17,22-23). A partire da qui, san Paolo parla di Dio come creatore, come di colui che trascende ogni cosa e che a tutto dà vita. Continua poi il suo discorso così: "Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi" (At 17,26-27). L'apostolo mette in luce una verità di cui la Chiesa ha sempre fatto tesoro: nel più profondo del cuore dell'uomo è seminato il desiderio e la nostalgia di Dio. Lo ricorda con forza anche la liturgia del Venerdì santo quando, invitando a pregare per quanti non credono, ci fa dire: "O Dio onnipotente ed eterno, tu hai messo nel cuore degli uomini una così profonda nostalgia di te, che solo quando ti trovano hanno pace". Esiste quindi un cammino che l'uomo, se vuole, può percorrere; esso prende il via dalla capacità della ragione di innalzarsi al di sopra del contingente per spaziare verso l'infinito. al mistero".

107. A tutti chiedo di guardare in profondità all'uomo, che Cristo ha salvato nel mistero del suo amore, e alla sua costante ricerca di verità e di senso. Diversi sistemi filosofici, illudendolo, lo hanno convinto che egli è assoluto padrone di sé, che può decidere autonomamente del proprio destino e del proprio futuro confidando solo in se stesso e sulle proprie forze. La grandezza dell'uomo non potrà mai essere questa. Determinante per la sua realizzazione sarà soltanto la scelta di inserirsi nella verità, costruendo la propria abitazione all'ombra della Sapienza e abitando in essa. Solo in questo orizzonte veritativo comprenderà il pieno esplicitarsi della sua libertà e la sua chiamata all'amore e alla conoscenza di Dio come attuazione suprema di sé.

S.S. Giovanni Paolo II, dall'enciclica Fides et Ratio 35.

 

Un altro capitolo doloroso, sul quale i figli della Chiesa non possono non tornare con animo aperto al pentimento, è costituito dall'acquiescenza manifestata, specie in alcuni secoli, a metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio alla verità. E vero che un corretto giudizio storico non può prescindere da un'attenta considerazione dei condizionamenti culturali del momento, sotto il cui influsso molti possono aver ritenuto in buona fede che un'autentica testimonianza alla verità comportasse il soffocamento dell'altrui opinione o almeno la sua emarginazione. Molteplici motivi spesso convergevano nel creare premesse di intolleranza, alimentando un'atmosfera passionale alla quale solo grandi spiriti veramente liberi e pieni di Dio riuscivano in qualche modo a sottrarsi. Ma la considerazione delle circostanze attenuanti non esonera la Chiesa dal dovere di rammaricarsi profondamente per le debolezze di tanti suoi figli, che ne hanno deturpato il volto, impedendole di riflettere pienamente l'immagine del suo Signore crocifisso, testimone insuperabile di amore paziente e di umile mitezza. Da quei tratti dolorosi del passato emerge una lezione per il futuro, che deve indurre ogni cristiano a tenersi ben saldo all'aureo principio dettato dal Concilio: " La verità non si impone che in forza della stessa verità, la quale penetra nelle menti soavemente e insieme con vigore".

S.S. Giovanni Paolo II, dalla lettera apostolica Tertio millennio adveniente