…ne parliamo a cena!

Incontro del 16 gennaio 2000: "…e il male?"

 

 

Una sera, mentre i genitori erano usciti e la cameriera era andata a fare una commissione, dalla casa di legno si levarono le fiamme e l'incendio divampò con tale rapidità che, all'arrivo dei pompieri, i bambini erano già morti bruciati. Non vidi il fuoco né udii le grida della madre e della cameriera, ma appresi la notizia il giorno dopo, quando i miei occhi si posarono sui muri anneriti, sulle bambole carbonizzate e sulle funi bruciacchiate dell'altalena, che dondolavano come serpenti dall'albero accartocciato. Ne rimasi sconvolto, come mai prima di allora. Avevo sentito parlare di terremoti nei quali erano state inghiottite migliaia di persone, di fiumi di lava incandescenti che avevano travolto interi villaggi, di onde gigantesche che avevano spazzato via le isole. Avevo letto che un milione di persone erano annegate durante l'inondazione del Fiume Giallo e altri due in quella dello Yangtse. Sapevo che a Verdun avevano perso la vita un milione di soldati. Ma non erano che astrazioni, numeri privi di significato, dati statistici, notizie. Non si può soffrire per un milione di morti. Quei tre bambini, invece, li avevo conosciuti, li avevo visti con i miei occhi e questo cambiava radicalmente le cose. Cosa avevano fatto loro, quale male avevano commesso i genitori per meritare tutto ciò? Non restavano che due alternative: o Dio non c'era o esisteva una divinità che era mostruosa nel caso fosse stata potente e inutile se non lo era. Una volta per tutte rinunciai a credere a un essere superiore che guardava l'uomo con occhio benevolo. Comunicai queste mie riflessioni in termini di-sperati e appassionati al mio amico, il quale, essendo stato educato nella stretta fede protestante, si rifiutò di accettare quella che, a parer mio, era l'unica conclusione logica, e cioè che non esisteva alcun padre divino oppure che, nel caso fosse esistito, era del tutto indifferente al destino dell'umanità ed era quindi inutile quanto qualsiasi dio pagano. Konradin ammise che la morte dei bambini era una disgrazia terribile e che lui stesso non riusciva a spiegarsela. Ma una risposta doveva esserci, insisteva, anche se noi eravamo troppo giovani e inesperti per trovarla. Catastrofi del genere erano sempre successe e uomini ben più saggi e intelligenti di noi - sacerdoti, vescovi, santi - ne avevano discusso ed erano riusciti a dare delle spiegazioni. Dovevamo accettare la loro superiorità e sottometterci umilmente alloro giudizio. Rifiutai energicamente tutte queste argomentazio-ni, dicendogli che non mi importava delle conclusioni a cui erano giunti quei vecchi impostori e che niente, assolutamente niente, poteva spiegare o scusare la morte atroce di due bambine e di un ragazzino. "Non li vedi bruciare?" gridai disperato. "Non senti le loro urla? E hai ancora il coraggio di giustificare l'accaduto perché sei troppo pavido per vivere senza il tuo Dio? Cosa ci può servire un Dio privo di potere e di pietà? Un Dio che se ne sta nel suo paradiso e tollera la malaria e il colera, la carestia e le guerre?" Konradin obiettò che, personalmente, non era in grado di dare alcuna spiegazione razionale a questi fatti, ma che ne avrebbe parlato al suo pastore e, alcuni giorni dopo, tornò pienamente rassicurato. Le mie parole non erano state che lo sfogo di un ragaz-zo immaturo e privo d'esperienza. Il pastore, oltre a rispondere alle sue domande in modo completo e pienamente soddisfacente, gli aveva consigliato di non prestare orecchio a simili discorsi blasfemi. E tuttavia, o il suo mentore non si era spiegato con sufficiente chiarezza o Konradin non aveva capito appieno la spiegazione, fatto sta che non riuscì a rendermela comprensibile. Si dilungò sul male, dicendo che era indispensabile per poter apprezzare il bene, così come, senza la bruttezza, non sarebbe esistita la bellezza, ma non riuscì a convincermi. Le nostre discussioni, quindi, sfociavano immancabilmente in un vicolo cieco. Si dava il caso che, proprio in quel periodo, mi fossi messo a leggere per la prima volta dei libri che parlavano di anni luce, di nebulose, di galassie, di soli infinitamente più grandi del nostro, di stelle, così numerose che era impossibile contarle, di pianeti le cui dimensioni superavano di molto quelle di Marte e di Venere, di Giove e di Saturno. Per la prima volta mi resi conto della mia infinita piccolezza e del fatto che la nostra terra non era altro che un sassolino su una spiaggia dove, di sassolini, ne esistevano a milioni. Tutto questo portò nuova acqua al mio mulino. Servì a rafforzare la mia convinzione che Dio non esistesse; come avrebbe potuto badare, infatti, a quello che succedeva in tanti corpi celesti? Questa nuova scoperta, unita all'impressione susci-tata in me dalla morte dei bambini, mi portò da un periodo di totale disperazione a uno di intensa curiosità. Ora il problema fondamentale non era più la natura della vita, ma ciò che di questa vita, priva di valore e al tempo stesso preziosa, dovevamo fare. Come impiegarla? A che fine? E per il bene di chi, il nostro o quello dell'umanità? Com'era possibile, insomma, mettere a buon frutto quella brutta realtà che era l'esistere? Ne discutevamo quasi quotidianamente, mentre passeggiavamo con aria solenne in su e in giù per le strade di Stoccarda, levando spesso lo sguardo al cielo, verso Bételgeuse o Aldebaran, che ci fissavano di rimando con i loro occhi serpigni, gelidi, luccicanti, ironici e, soprattutto, distanti milioni di anni luce.

Fred Uhlman - L'amico ritrovato (1971) pp.37-40

 

Da una raccolta di testi religiosi egizi (2.200 a.C):

"Dov'è il pastore del gregge, dorme forse?" "Io feci l'uomo come il suo simile, non fu mio decreto che essi facessero il male, ma furono i loro cuori a violare quello che dissi (...). Io creai gli dei dal mio sudore, ma l'umanità dalle lacrime del mio occhio."

 

CRITERI DI GIUSTIZIA DIVINA E DI GIUSTIZIA UMANA

Io non conoscevo infatti altra realtà, e, quasi per sfoggio di sottigliezze, mi accostavo a quegli stolti venditori di fumo quando mi si interrogava, per esempio, donde venga il male; se Iddio sia delimitato da forme corporee e se abbia capelli ed unghie; se si potessero chiamare giusti quelli che avevano più mogli contemporaneamente o quelli che uccidono uomini o sacrificano animali. Nella mia ignoranza intorno a tali argomenti, io ne ero turbato, e, credendo di andare verso la verità, me ne allontanavo: non sapevo ancora che il male non è altro se non la privazione del bene, fino a non avere una propria realtà. (…) E nemmeno conoscevo la giustizia vera, quella interiore che non giudica secondo norme consuetudinarie, ma secondo la legge rettissima di Dio onnipotente a cui si devono infor-mare i costumi delle regioni e dei tempi in rapporto alle regioni e ai tempi. Essa invece, quella giustizia, è sempre dovunque la stessa, non variabile secondo i tempi o i luoghi: e per essa furono giudicati giusti Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Davide e tutti quelli che furono lodati dalla bocca di Dio: gli ignoranti che giudicano " secondo la giornata dell'uomo ", che misurano il complesso dei costumi del genere umano dal particolarismo dei loro propri, li hanno definiti " non giusti ". Ma sarebbe come se uno non sapendo quali parti in un'armatura si adattino alle varie parti del corpo, volesse coprirsi il capo con uno schiniere, calzare l'elmo; e andasse brontolando che non si adattano…

Sant'Agostino - Le confessioni

 

Un giorno, i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore e anche satana andò in mezzo a loro. Il Signore chiese satana: "Da dove vieni? ". Satana rispose al Signore: " Da un giro sulla terra, che ho percorsa ". Il Signore disse a satana: "Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male. Satana rispose al Signore e disse: "Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto è suo? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedirà in faccia! ". Il Signore disse a satana: " Ecco, quanto possiede è in tuo potere, ma non stender la mano su di lui ". Satana si allontanò dal Signore.

Dal libro di Giobbe - Prologo 1, 6-12